26 ottobre 1890 – Muore Carlo Lorenzini

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Sesto giorno per giorno la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro Sesto una bella storia e Sesto Fiorentino, i giorni della nostra storia

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai (Francesco Guccini)

Sesto giorno per giorno

26 ottobre 1890 – Muore Carlo Lorenzini

Il celebre scrittore Carlo Lorenzini, a dispetto del suo pseudonimo, Collodi, nacque a Firenze in via Taddea il 26 novembre 1826 a pochi passi dalle lussuose dimore della famiglia Ginori dove i genitori prestavano servizio rispettivamente come cuoco e cameriera. Nato, quindi, di umili origini (come direbbe il professor Alfeo Sassaroli di Amici Miei), Lorenzini riuscì, grazie all’aiuto dei marchesi, a frequentare il seminario a Colle Val d’Elsa e poi la scuola degli scolopi a Firenze. Sfruttò l’opportunità, non tanto per avviare una carriera religiosa, per la quale non era portato, ma per sviluppare la passione per la scrittura e il giornalismo. Iniziò la carriera come cronista teatrale e critico musicale, ma decise di interromperla perché le sue idee vagamente mazziniane e democratiche lo portarono a combattere con le truppe toscane a Curtatone e Montanara.

 

L’uomo tranquillo, preoccupato di non poter godere tranquillamente dei suoi averi per le agitazioni politiche scoppiate in Toscana nel ’47, lascia la Toscana e fugge in Sicilia, dove è sorpreso dalla rivoluzione del 12 gennaio ’48. Decide perciò di cercare rifugio in Francia e si stabilisce a Parigi, ma è costretto a lasciare anche la Francia per la rivoluzione di febbraio e si reca a Vienna dove si trova a dover fare i conti con la rivoluzione di marzo. Allora decide di abbandonare l’Europa e si trasferisce negli Stati Uniti, precisamente nella California, dove la scoperta dell’oro fa accorrere un gran numero di cercatori e i prezzi aumentano spaventosamente e l’uomo tranquillo perde tutti i suoi averi e muore di accidente. Sulla sua tomba viene scritto: “Qui giace l’uomo tranquillo. Morto d’una serie di affanni per aver dimenticato che l’uomo si agita e Dio lo conduce”

 

Il ritorno di Leopoldo II sul trono del Granducato e la morte del padre segnarono l’inizio di un periodo di difficoltà economiche che soltanto in parte riuscì a colmare grazie alle collaborazioni con giornali e riviste e l’aiuto del fratello Paolo, nel frattempo diventato dirigente della Manifattura di Doccia. Tra le attività supportate da Paolo Lorenzini la più importante è probabilmente la riesumazione, nel 1860, del giornale satirico Il Lampioneche Carlo aveva fondato nel 1848 e che era stato chiuso dalla censura lorenese nel 1849. Nel mezzo la delusione della Seconda Guerra d’Indipendenza cui partecipò come volontario. L’armistizio di Villafranca, la svolta monarchica e il momentaneo trasferimento della capitale a Firenze coincisero con un’amara e disillusa evoluzione politica di Lorenzini. In polemica con i piemontesi che avevano lasciato Firenze in mezzo ai debiti, e con la stampa governativa mossa da antipatia crescente nei confronti della città del fiore, Lorenzini pubblicò sul Fanfulla una lettera aperta al Presidente del Consiglio Marco Minghetti dal titolo Delenda Toscana in cui propone addirittura di sopprimere la Toscana:

 

Visti i draconiani metodi dei piemontesi basterà un decreto di poche righe così redatto: “Articolo unico – In data d’oggi la Toscana rimane definitivamente cancellata dalla carta geografica del regno e dai trattati elementari di geografia per uso delle scuole…”

 

Dagli scritti emerge un Lorenzini insoddisfatto e forse non solo politicamente. Le delusioni d’amore non erano mancate e anche sull’argomento le conclusioni non potevano essere che amare:

 

Due amanti che si giurano d’essere franchi e sinceri,
e si promettono di confidarsi l’un l’altro tutt’i segreti –
han deciso in lor cuore d’ingannarsi a vicenda

 

Negli ultimi anni di vita, Lorenzini abbandonò la polemica politica e si dedicò alla narrativa per l’infanzia. Riscosse un discreto successo con i Racconti delle fate, Giannettino e Minuzzolo, ma il vero  successo arrivò nel 1881 con la pubblicazione di Pinocchio-Le avventure di un burattino. Una favola che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo e che lui ha scritto nella villa di Castello dove abitava con la famiglia del fratello. I personaggi e i luoghi gli fornirono la giusta ispirazione

 

Quando Collodi scrisse il suo Pinocchio
forse pensava a Sesto Fiorentino
le grandi fiere davano nell’occhio
Era il paese in festa più vicino
vi si diresse con il veloce cocchio
incitando con garbo il suo ronzino
e giunto fra bandiere luci e fiocchi
“Questo”, esclamò, “è il paese dei balocchi”  (Renato Pieri)

 

La morte di Collodi è riportata anche nei Lunari di Enrico Giusti:

 

Stasera, circa le 11 moriva in Firenze di un colpo apopletico il sig. Carlo Lorenzini, fratello del direttore della Manifattura

 

Daniele Niccoli

 

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