Cammina, cammina
Quante scarpe consumate
Quante strade colorate
Cammina, cammina
Vanno verso nord, disegnano confini
Scendono poi a sud, segnando destini
Rimangono nel cuore quelle strade sotto il sole
Bello è ritornare, ma andare forse è meglio
(I Nomadi)
Itinerario:
- Via Antonio Gramsci
- Via Giuseppe Verdi
- Piazza Viittorio Veneto
- Via Dante Alighieri
- Via Antonio Gramsci
- Via Felice Cavallotti
- Piazza Vittorio Veneto
- Via della Tonietta
Oggi percorso breve ma intenso nel centro cittadino. La partenza è fissata nel posto che per tanti secoli è stato indicato come quadrivio in quanto incrocio delle due strade più importanti di cui si poteva avvalere allora la comunità sestese. Fu qui che nel 1863 fu posto il primo lampione a petrolio che “per la sua chiarezza di luce serve al bisogno e al desiderio”.
Scendo in via Verdi che corrisponde al vecchio cardine 12 della centuriazione romana. Via Verdi rappresenta oggi una porzione dell’antica via del Serraglio, diventata poi via di Rimaggio e dal 1871 al 1901 via delle Fornaci.
La strada dopo un breve tratto piuttosto stretto, ma anche molto animato, si allarga in corrispondenza dell’incrocio con via Corsi Salviati là dove fino a qualche decennio fa si trovavano i bagni pubblici. Altri tempi.
Giungo in piazza Vittorio Veneto, ma solo per risalire poi su via Dante Alighieri precedentemente intitolata alla famiglia Giorgi De Pons perché realizzata su una più antica stradella privata (prima ancora viottola) di proprietà della famiglia Giorgi De Pons. Collegava la via maestra, all’altezza del palazzo di famiglia, con via della Tonietta. Per i sestesi rimane “Per i’ Mulino”.
Il breve tratto che percorro su “La Strada” (via Antonio Gramsci) è quello che corrisponde al vecchio baratto del tramway. Qui oggi si trova uno degli ingressi della Galleria commerciale intitolata a Fosco Giachetti. L’attore sestese famosissimo al tempo del cinema dei telefoni bianchi.
Continuo la mia camminata sulle strade dello struscio e scendo quindi per via Cavallotti. La strada principale di Sesto. Paradossalmente quella che ha cambiato più volte il nome. Nata come Strada Nuova intorno al 1864 fu rinominata via del Municipio dopo la costruzione del medesimo (1871). Assunse il nome di Felice Cavallotti nel 1898. Con la fascistizzazione del Comune divenne via Francesco Crispi nel 1930, tornò a chiamarsi Felice Cavallotti nel 1945. Nonostante i tentativi della politica, per i sestesi rimane la “Strada Nova”.
Questa strada si rese protagonista, suo malgrado, di un episodio singolare legato alla sistemazione del fogna che vide protagonista anche il marchese Lorenzo Ginori e i residenti del strada definiti per questo “comunisti” nel senso di cittadini del Comune.
Sulla mia sinistra incrocio l’altro ingresso della galleria Fosco Giachetti. Da qui una volta si entrava al “Cine di’ Fantechi” dai più giovani conosciuto anche come Teatro Verdi. Quasi di fronte ad esso si trova la farmacia comunale a ricordare una delle prime importanti conquiste del comune socialista del primo Novecento e i medici che vi hanno svolto la loro attività.
Più a sud, dove una volta c’era il giardino della Brasilena caro ai nostri genitori e ai nostri nonni, si trova la targa che inneggia alla cooperazione.
Sfocio definitivamente su piazza Vittorio Veneto che fu piazza del Municipio fino al 1924. Nel 1900 fu proposto di intitolarla a Umberto I di Savoia da poco ucciso in un attentato ma l’amministrazione socialista di Sesto si oppose.
Spicca ovviamente il palazzo Comunale che ancora oggi si mostra imponente e ancora di più deve essere sembrato tale ai sestesi quando lo videro realizzato nel 1871 grazie soprattutto all’impegno del sindaco Francesco Daddi.
All’interno di quelle mura sono state prese le decisioni che hanno deciso il destino della nostra comunità. Sono risuonate le voci del marchese Ginori, di Pilade Biondi, primo sindaco socialista, di Torquato Pillori, primo sindaco dopo la liberazione e di tanti altri.
Non sono mancate però le pagine buie. Durante le ricerche che ho svolto mi hanno colpito soprattutto le parole pronunciate durante il consiglio comunale del 15 aprile 1923. A otto mesi dalle forzate dimissioni della giunta socialista si tornò a scrivere un verbale di cui vi riporto un estratto (comprensivo di errori di ortografia) che mi fa accapponare la pelle:
“Rivolgo un ringraziamento speciale ed un rispettoso saluto al cav. Paolo Giuffrida, nostro Commissario Prefettizio per l’opera da lui svolta in vantaggio di questo paese e ci ha indicato la Via del nostro lavoro avvenire; propongo nuovamente e non per dimenticanza, che per unanime acclamazione venga nominato cittadino Onorario del Comune, ed inviare un telegramma a Sua M. il Re ed uno al Capo del Governo, che regge le sorti nella Patria nostra.
Nei nomi Santi d’Italia e della Casa Savoia, per troppi anni dimenticati in questo luogo; per i Combattenti; per i Fascisti; per Benito Mussolini
Eia, Eia alalà”…
“La rappresentanza comunale di Sesto Fiorentino desiderosa seguire direttive governo fascista esprime nella sua prima adunanza ammirazione grande opera E.V. che con mano ferma e sicura guida la Nazione verso alti destini”.
Il Palazzo comunale è ricco di cimeli ed è raccontato con dovizia di particolari nel libro “Il palazzo dei sestesi” di Elena Andreini e Sandra Nistri.
Io mi limito a ricordare un paio di cose di cui mi sono occupato: Il gemellaggio con la città di Mahabes della repubblica araba Saharawi democratica segnalato da una targa sotto l’androne del palazzo; e l’errore sulla targhe in ricordo dei morti delle due guerre mondiali. Gli stemmi del Comune non rispettano le regole dell’araldica . E’ vero che i colori possono essere sostituiti dalle righe, ma l’azzurro deve essere indicato da linee orizzontali e il rosso da linee verticali. Insomma l’esecutore dell’opera ha scambiato i colori.
Trovandomi nel luogo più alto delle istituzioni sestesi non posso non ricordare quando, nel 1981, una delegazione, che comprendeva sindaco e pievano, si recò dal Presidente della repubblica, Sandro Pertini, per chiedere l’assegnazione al Comune della medaglia al valore civile e militare per il contributo fornito alla Resistenza.
Mi sposto di poco per immortalare la saletta 5 maggio, sede del Consiglio comunale intitolata ai fatti del 1898 e alle quattro persone uccise a colpi di moschetto che chiedevano semplicemente il “rinvilio” del pane: Odoardo Parigi, Annina Banchelli, Raffaello Mannini e Delio Contini.
Al centro della piazza troneggia il monumento ai caduti realizzato dallo scultore sestese Odo Franceschi e inaugurato, insieme alle targhe sotto il loggiato, dal Duca d’Aosta durante le sue visite a Sesto tra il maggio e il giugno 1925.
Dal centro della piazza è visibile, seppur nascosto dalle impalcature, il palazzo della Coop che nel 1972, non senza polemiche, andò a sostituire la vecchia Casa del Popolo di Sesto. Il simbolo di lotte, passioni e conquiste sociali fu abbattuto per far posto a una bottega. Simbolo dei tempi. Un processo che forse non poteva avere esito diverso, ma il rammarico resta. Speriamo almeno che i lavori in corso eliminino un po’ di quell’aspetto cimiteriale al palazzo costruito dall’architetto Edoardo Detti.
Chiudo la mia breve ma intensa passeggiata in via della Tonietta, indicata negli antichi documenti come via della Tognetta. Il toponimo è sconosciuto.
Sulla destra individuo le sale di registrazione Parsifal, una vera eccellenza sestese.
Procedendo a dritto mi inserisco in quello che era l’area dei Giuseppini. Ora certamente più ordinata di qualche anno fa, ma come non provare un po di nostalgia per il campo di bocce che vide impegnato anche Alfredo Martini, il campo da tennis e il campo da calcio che ho calcato in numerose occasioni. Era qui che per qualche anno si svolsero i “Giochi senza quartiere”.
Chiudo definitivamente la camminata con un’occhiata alla zona in cui venivano preparati i carri per il Carnevale. Ma questa è un’altra storia e ve la racconterò un’altra volta.
Poco meno di due chilometri ma tanta storia. Abbastanza, credo, per capire Sesto e i sestesi. I link di approfondimento (19) questa volta sono veramente necessari.
Vi lascio con 15 foto
Daniele Niccoli
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