Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri
Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno
Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza (Dante, Inferno, canto XXVI)
26 novembre 1526 – Giovanni dalle Bande Nere ferito a morte
La carriera militare di Giovanni de’ Medici iniziò nel 1516 quando partecipò alla guerra che portò Lorenzo II de’Medici alla conquista del ducato di Urbino. Giovanni aveva solo diciotto anni ma si distinse per come riuscì a trasmettere, ai rozzi uomini d’arme che comandava, il senso della disciplina e il dovere dell’obbedienza. Quell’esperienza fu una tappa fondamentale per la sua formazione militare e lo indusse a creare una Compagnia di ventura che lui volle dotata di un forte spirito di gruppo e, per questo, compatta nel momento dell’offensiva.
Fu tra i primi a capire che era terminata l’era della cavalleria pesante e dotò quindi le sue truppe di cavalli berberi, leggeri e veloci, con i quali poteva attuare alla perfezione la tattica della guerriglia. Con questa compagnia, così efficiente, si mise al soldo dei Signori dell’epoca, cambiando, com’era consuetudine, più volte schieramento.
Alla morte di Leone X, fece annerire, in segno di lutto, le insegne diventando così famoso come Giovanni dalle Bande Nere. Qualche anno più tardi combatté al soldo di Clemente VII contro l’esercito di Carlo V che stava marciando verso Roma. In quell’occasione Giovanni attaccò le retroguardie dell’esercito lanzichenecco a Governolo, alla confluenza tra il Mincio e il Po infliggendo agli imperiali una dura sconfitta che gli fece guadagnare il titolo di Gran Diavolo e una brutta ferita alla gamba. Era il 26 novembre 1526:
accostatosi più arditamente perché
non sapeva che avessino avute artiglierie,
avendo essi dato fuoco a uno de’ falconetti,
il secondo tiro roppe la gamba alquanto
sopra il ginocchio a Giovanni de’ Medici (Francesco Guicciardini)
Nel tentativo di curarlo fu portato fino a Mantova presso Luigi Gonzaga, detto il Rodomonte. Qui il chirurgo Abramo, che lo aveva già curato per una precedente ferita, gli amputò la gamba. Secondo la testimonianza di Pietro Aretino il chirurgo chiese l’assistenza di dieci uomini per tener fermo il ferito, ma lui sdegnosamente rifiutò.
L’operazione parve essere ben riuscita e il malato stesso si considerava guarito, ma l’intervento non aveva arrestato la cancrena e il 30 novembre Giovanni pose fine alla sua breve esistenza. Fu sepolto con un’armatura nera che oggi è conservata al museo Stibbert.
La sua morte spalancò la strada per Roma ai Lanzichenecchi. Negli anni del Sacco, furono molti a rimpiangerlo. Nonostante tutte queste peripezie, Giovanni, ebbe il tempo di sposarsi con Maria Salviati che gli diede un figlio, che lui accudì per pochissimo tempo, ma che sarebbe diventato uno dei principali artefici della storia fiorentina: Cosimo, il primo granduca di Toscana.
DANIELE NICCOLI
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