16 aprile 1966 – Processo a Dante Alighieri

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Firenze 365, la rubrica curata da Daniele Niccoli, autore del libro omonimo edito da apice Libri 

Fatti e aneddoti legati alla storia della città di Firenze raccontati giorno per giorno

Un aiuto per conoscere la nostra semenza e per intuire il nostro futuro.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
me per seguir virtute e canoscenza   (Dante, Inferno, canto XXVI)

 

16 aprile 1966 – Processo a Dante Alighieri

Nel 1301 Dante Alighieri, Maso Minerbetti e Corazza da Signa furono inviati dalla Repubblica fiorentina a Roma nel tentativo di contrastare e mitigare le mire di Bonifacio VIII sulla città. Stando alle parole di Boccaccio, Dante, convinto della necessità di quell’ambasceria, ma, allo stesso tempo, preoccupato per la situazione cittadina, con la presunzione che lo contraddistingueva avrebbe detto:

Se io vo, chi rimane? E se io rimango, chi va?   (Giovanni Boccaccio)

Nel frattempo la situazione politica era però precipitata. Il Papa aveva inviato a Firenze Carlo di Valois con il compito ufficiale di portarvi la pace. In realtà favorì spudoratamente il partito dei Neri tanto che il 9 novembre di quell’anno impose come podestà un importante esponente di quella fazione: Cante de’Gabbrielli.

Questi adottò una politica di sistematica persecuzione nei confronti dei Bianchi di cui ne fece spese anche lo stesso Dante. Accusato di baratteria, fu processato una prima volta il 27 gennaio 1302. Il tribunale lo condannò al confino per due anni e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. La sentenza del 10 marzo 1302, perdurando la contumacia del condannato, fu ancora più dura:

Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia

Le eventuali prove allegate alle accuse che furono mosse a Dante furono distrutte durante un tumulto popolare di quarant’anni dopo. Nonostante questo il 16 aprile 1966 il processo a Dante fu di nuovo celebrato nella basilica di San Francesco ad Arezzo. L’accusa fu affidata ad Antonio Bellocchi che, pur tributando gli onori all’imputato, non mancò di far notare quanto il suo carattere difficile, il suo linguaggio tagliente, la sua presunzione, le sue passioni extra-coniugali e, soprattutto, la furibonda opposizione esercitata da esiliato, potessero far ritenere fondata la condanna.

La linea dell’accusa però non fu tenuta in considerazione. Anzi il giudice Giovanni Leone, futuro Presidente della Repubblica, si dispiacque di come il Pubblico Ministero fosse voluto inutilmente entrare nella vita privata dell’imputato. Furono invece prese in considerazioni le testimonianze di chi aveva spiegato come Dante si fosse distaccato dagli estremisti e di come si fosse adoperato per una ripresa del dialogo con i Neri. Tentativo che gli costò le accuse anche dei Guelfi Bianchi e dei Ghibellini.

La sentenza fu di piena e unanime assoluzione.

Daniele Niccoli

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